I nomi del cielo

Come vengono scelti i nomi con cui identifichiamo
i corpi celesti e le loro formazioni superficiali?


di Gianfranco Benegiamo

Tratto dalla rivista di astronomia Coelum

(Per gentile concessione dell'autore e dell'editore)


I nomi degli oggetti visibili ad occhio nudo nel cielo hanno origini antichissime che derivano da personaggi mitologici, come nel caso dei pianeti, oppure da animali, ai quali sono dedicate molte costellazioni della fascia zodiacale. Le stelle più luminose vengono talvolta identificate con termini collegati all’asterismo di appartenenza, come ad esempio Deneb il cui significato, “la coda”, indica appunto la regione occupata nella costellazione del Cigno.

Nell’antichità classica le stelle erano distinte solo in base alle coordinate e in tal modo sono state riportate, intorno al Secondo secolo, nella Sintassi di Tolomeo; una loro prima designazione sistematica risale al 1603, quando Johann Bayer adottò, per il suo atlante celeste Uranometria, una nomenclatura basata sulle lettere dell’alfabeto greco.

L’uso del telescopio, introdotto in astronomia pochi anni più tardi, mostrò ben presto che non era possibile conservare questo criterio per contrassegnare la grandissima quantità di oggetti risolti dallo strumento e pertanto, nell’opera Historia Coelestis Britannica del 1675, John Flamsteed rinominò le principali stelle presenti all’interno di ogni costellazione con una sequenza progressiva di numeri: così, ad esempio, Rigel chiamata Beta-Orionis da Bayer diventò 19-Orionis per Flamsteed.

Dopo i cataloghi stellari seguirono quelli dedicati alle nebulose, il più noto dei quali è stato realizzato nel Settecento da Charles Messier: oggi l’iniziale del suo nome, posta davanti ai numeri sino a 110, individua alcuni degli spettacoli più apprezzati da chi osserva il cielo.

Circa un secolo più tardi Jan Dreyer pubblicò una lista di ammassi stellari ed oggetti nebulari, il New General Catalogue, a cui seguirono due supplementi (Index Catalogue), usati ancora oggi negli atlanti celesti con le sigle NGC e IC seguite dal numero che hanno nei rispettivi elenchi; anche in questo caso sono stati rinominati tutti i precedenti oggetti e ad esempio M1, la nebulosa del Granchio, ha preso la sigla NGC 1952.

Il telescopio rese inoltre possibile distinguere le formazioni della Luna e, con il successivo perfezionamento delle ottiche, risolvere i particolari delle superfici planetarie; l’era spaziale, inaugurata nel 1957 dallo Sputnik, ha messo a disposizione migliaia di immagini ad alta risoluzione riprese dalle sonde automatiche, di corpi grandi e piccoli orbitanti attorno al Sole, i cui particolari più rilevanti sono stati contraddistinti da altrettanti termini.

Gli ultimi secoli hanno dunque visto crescere in maniera esponenziale la quantità di nomi assegnati e ciò ha reso indispensabile introdurre precise regole per indicare i numerosi oggetti del cielo.


Chi decide oggi i nomi del cielo?

L’arbitro di questo delicato settore è l’Unione Astronomica Internazionale (IAU) che a partire dalla riunione costituente, tenutasi a Bruxelles nel 1919, ha posto tra i suoi numerosi obiettivi anche quello di razionalizzare la nomenclatura astronomica.

Le linee politiche di lungo termine dell’associazione sono adottate dall’Assemblea generale ed attuate dal Comitato esecutivo, mentre le attività ordinarie vengono coordinate dal Segretariato permanente, ubicato presso l’Istituto d’Astrofisica di Parigi.

La struttura organizzativa è formata da 11 Divisioni scientifiche, articolate in 39 Commissioni specialistiche, che hanno il compito di trattare gli innumerevoli aspetti della disciplina, coinvolgendo migliaia di astronomi in tutto il mondo.

La Commissione 5 (Documentation and Astronomical Data) ha l’incarico di stabilire i criteri generali a cui attenersi nell’opera di designazione, per evitare alla comunità scientifica occasioni di ambiguità e confusione. Poiché l’attività coinvolge un campo estremamente vario, nel quale rientrano le informazioni acquisite dalle sonde spaziali come le scoperte realizzate dagli astrofili, sono state costituite due distinte organizzazioni responsabili per i nomi degli oggetti appartenenti al sistema solare.

Il Working Group for Planetary System Nomenclature (WGPSN), stabilisce come chiamare pianeti, satelliti e le loro caratteristiche superficiali, mentre lo Small Bodies Names Committee (SBNC) si occupa del nome provvisorio e definitivo dei corpi minori, agendo sull’impulso fornito dal Central Bureau for Astronomical Telegrams (CBAT) per le comete e del Minor Planet Center (MPC) nel caso degli asteroidi.

I nuovi satelliti ricevono una sigla provvisoria, preceduta dal suffisso S/, mantenuta sino alla definitiva conferma; le lune scoperte dal Voyager 2, in occasione dell’incontro ravvicinato con Nettuno nel 1989, furono da principio denominate S/1989 N1, S/1989 N2, ecc. Quando l’orbita dell’oggetto è conosciuta, con accuratezza sufficiente a prevederne la posizione futura, gli viene dato nome e sigla definitiva, costituita da un numero progressivo in cifre romane; in tal modo il satellite Thebe, scoperto nel 1980 dal Voyager 1, corrisponde a Giove XIV anche se è il quarto in ordine di distanza dal pianeta gigante.

I corpi più splendenti nel cielo conservano ancora oggi i nomi dell’antichità, ispirati alle più importanti figure mitologiche ed alle loro caratteristiche peculiari: l’astro che rapidamente si muove tra le stelle fisse venne dedicato a Mercurio, il messaggero degli dei, il pianeta più brillante a Venere, la dea della bellezza, e quello rosso-sangue a Marte, la divinità guerriera.

Il primo nome proposto in tempi più recenti per un oggetto del sistema solare è stato “Medicea Siderea”, con il quale Galileo dedicava al Granduca di Toscana le quattro lune di Giove, la scelta ebbe scarso successo e, curiosità della sorte, gli attuali nomi furono scelti da Simon Marius (lo stesso che aveva tentato, inutilmente, di fare passare per suo il loro primo avvistamento) tra quelli che figurano come amori clandestini di Giove. Naturalmente al matematico pisano la proposta non risultò gradita e in alternativa indicò un sistema basato sui numeri romani che ai suoi tempi non ottenne alcun seguito, mentre è oggi utilizzato per tutti i sistemi satellitari.

I tentativi di William Herschel, per dare al pianeta scoperto nel 1781 il nome di “Georgian Sidus” in onore di Giorgio III, non ebbero migliore sorte e si preferì Urano, padre di Saturno, suggerito da Johann Bode. Lo stesso Herschel individuò le prime due lune di Urano, per le quali il figlio John iniziò la tradizione di cercare ispirazione tra i personaggi delle opere di Shakespeare: a cominciare da Ariel (spirito benigno de La tempesta), proseguita poi con Titania e Oberon (regina e re delle fate in Sogno di una notte di mezza estate), Portia (moglie di Bruto nel Giuglio Cesare), Juliet (protagonista di Giulietta e Romeo), sino alle recenti scoperte del 1997 con Caliban (grottesco schiavo de La tempesta) e Sycorax (madre di quest’ultimo).

Diverse lune del più lontano pianeta visibile ad occhio nudo sono state dedicate ai Titani, fratelli e sorelle di Saturno, come ad esempio: Atlas, Enceladus, Mimas e Iapetus. Il nome del pianeta Plutone, scoperto nel 1930 da Clyde W.Tombaugh, è ancora una figura della mitologia greca, la divinità dell’oltretomba; così come quello del suo satellite, Caronte, deriva dal barcaiolo che traghettava le anime attraverso il fiume Stige, per condurle dinanzi al giudizio di Plutone.


L’evoluzione della nomenclatura cometaria

Sino alla prima metà dell’Ottocento le comete venivano distinte soltanto con un nome, generalmente quello dello scopritore, nel 1846 i redattori di Astronomische Nachrichten introdussero l’abitudine di applicare la numerazione romana, secondo l’ordine dei passaggi al perielio osservati ogni anno.

Un sistema sussidiario, adottato dagli stessi redattori più tardi, assegnava una lettera minuscola secondo l’ordine della scoperta nell’anno e seguendo tali criteri la Halley poteva avere come sigla 1909c oppure 1910 II; a partire dal 1892 venne preferita una designazione provvisoria in cui l’anno della scoperta era seguito da una lettera maiuscola dell’alfabeto inglese.

Poco dopo le lettere disponibili si esaurirono e venne deciso di aggiungerne una seconda; la sequenza non ripartiva ogni anno dalla coppia AA e così nel 1916 si giunse al termine delle combinazioni possibili con ZZ, ma piuttosto che inserire una terza lettera si decise di proseguire con 1916AA.

La designazione preliminare delle comete, a partire dal 1925, è formata dall’anno della scoperta e da due lettere, con l’esclusione della sola “I” al fine di evitare confusioni.
La prima individua la quindicina nell’anno e la seconda l’ordine cronologico delle scoperte nel medesimo periodo: in tal modo A corrisponde all’intervallo 1-15 gennaio, B=16-31 gennaio, C=1-15 febbraio, ..., Y=16-31 dicembre.
La seconda lettera consente invece di individuare le prime 25 comete avvistate nella stessa metà del mese e nel caso in cui ciò non fosse sufficiente si aggiunge il numero 1, se invece le scoperte sono più di 50 si passa al 2; la 26a cometa scoperta tra 1 e 15 maggio 1990, ad esempio, è contraddistinta dalla sigla 1990JA1, la 51a con 1990JA2 e così di seguito.
Recentemente, a partire dal 1995, la seconda lettera della codifica è stata sostituita dal numero corrispondente all’ordine di annuncio nelle circolari del CBAT.

Il Central Bureau for Astronomical Telegrams opera presso lo Smithsonian Astrophysical Observatory, sotto la guida della Commissione 6 (Astronomical Telegram), ed è responsabile della disseminazione, attraverso apposite circolari, delle informazioni riguardanti gli eventi astronomici transitori (comete, supernove, ecc.).

Le caratteristiche degli astri chiomati sono indicate anteponendo al nome una delle seguenti lettere: P se il periodo orbitale è inferiore a 200 anni, C quando il periodo supera tale valore, X se non è possibile calcolare un’orbita significativa, D per le comete che presumibilmente non potranno essere più osservate e infine A nel caso in cui all’oggetto era stata inizialmente attribuita una natura cometaria, ma è poi risultato essere un asteroide.

Quando si registra il ritorno di una cometa, oppure è stata determinata la sua periodicità mediante osservazioni all’afelio, si fa precedere P, oppure D, da un numero che rimarrà definitivamente collegato al suo nome (1P/Halley, 2P/Encke, 34D/Gale).

Nel caso di frammentazioni, come ad esempio è accaduto per la Shoemaker-Levy 9, ogni componente è individuata aggiungendo -A, -B, -C, ecc.

Poiché una certa ridondanza è considerata utile, la tradizione di dare alle nuove comete il nome dello scopritore è stata mantenuta; nel caso di più pretendenti vengono accontentati solo i primi tre, in base all’ordine di arrivo delle segnalazioni ufficiali al CBAT.
Alcuni esempi della nuova denominazione sono forniti dalle comete C/1995Q2 (Hartley-Drinkwater), P/1994P1-A (frammento principale della Machholz 2) e P/1996A1 (Jedicke).

Qualche volta accade pure che l’oggetto, inizialmente classificato come asteroide, evidenzi attività tipiche delle comete come è avvenuto per 2060 Chiron diventato 95P/Chiron e 7968 Elst-Pizarro la cui coda di polveri ha convertito in 133P/Elst-Pizarro; l’orbita calcolata per il pianetino 1979 VA, invece, risultò solo più tardi coincidere esattamente con quella della cometa 107P/Wilson-Harrington.

La designazione provvisoria delle comete viene data dal CBAT che in collaborazione con lo SBNC ne stabilisce anche il nome, mentre alla successiva numerazione definitiva provvede il MPC.


Asteroidi: quanti nomi ancora!

Il primo dei numerosi oggetti disposti su orbite intermedie tra quelle di Marte e Giove venne scoperto nel 1801 da Giuseppe Piazzi che lo volle dedicare a Cerere, madre delle divinità terrestri, il cui culto fu introdotto a Roma intorno al V secolo a.C.

Nei successivi 67 anni il numero di pianetini noti salì a cento e nel 1890 tale cifra era triplicata; la survey condotta nel corso del programma Spacewatch Near Earth Asteroid, tra il 1992 e il 1995, sulla porzione di cielo intorno all’eclittica, ha individuato la presenza di oltre 60.000 oggetti, sino alla magnitudine 21, dei quali oggi ne sono stati denominati circa un decimo.

Il gruppo di asteroidi che precedono e seguono Giove nella sua orbita attorno al Sole, vicino ai punti di equilibrio ipotizzati nel 1772 dal matematico torinese Giuseppe Luigi Lagrange, a circa 60 gradi di distanza dal pianeta, hanno nomi tratti da poemi epici (Anchise, Ettore, Priamo) e per questo noti collettivamente come Troiani.

Quando sono disponibili le posizioni di un nuovo asteroide, rilevate in due diverse notti, il Minor Planet Center provvede alla designazione provvisoria e una volta accertato che non si tratta del ritrovamento di un precedente, isolato, avvistamento occorrono accurate osservazioni, per almeno quattro opposizioni, prima di assegnargli il nome definitivo; nel caso di asteroidi near-earth sono sufficienti i dati di tre e talvolta anche due sole opposizioni.

La disponibilità di elementi orbitali sufficientemente affidabili, per prevedere la posizione futura del pianetino, consente al MPC di stabilire la sua numerazione definitiva, facendolo così diventare idoneo all’assegnazione del nome, suggerito dallo scopritore insieme ad una breve motivazione.

Le proposte sono valutate dai membri dello Small Bodies Names Committee, per controllare il rispetto delle seguenti, principali, condizioni: lunghezza massima di 16 caratteri, nei quali possono essere compresi spazi e punteggiatura (una sola parola, formata da non più di tre sillabe, è comunque consigliata), la scelta non deve essere in alcun modo offensiva o assomigliare troppo ad un nome già esistente; le proposte diventano ufficiali soltanto dopo la pubblicazione nelle circolari del Minor Planet Center, un servizio della Commissione 20 (Position and Motion of Minor Planets, Comets and Satellites).

Una regola di applicazione assai più generale, estesa alla designazione di qualsiasi altro corpo o suo aspetto superficiale, stabilisce che i nomi legati a personaggi e avvenimenti di carattere politico, religioso oppure militare sono accettati solo a distanza di un secolo dalla morte del protagonista o dalla conclusione dei fatti a cui si riferiscono.

Le assegnazioni in onore di personaggi pubblici, appartenenti a categorie diverse da quelle appena citate, sono possibili solo dopo tre anni dalla loro scomparsa: un’eccezione è stata fatta per gli astronauti in vita, a riconoscimento del contributo unico fornito nell’esplorazione dello spazio.

L’analisi delle immagini riprese dalla sonda Galileo, giunta nell’agosto del 1993 alla minima distanza da 243 Ida, ha individuato la presenza di una piccola luna in orbita attorno all’asteroide, estendendo così la già articolata nomenclatura di questo settore.
La designazione scelta, 1993Ida1, è formata dall’anno della scoperta, il nome dell’asteroide e un numero che indica l’ordine temporale di identificazione; il nome successivamente proposto, Dactyl, si ispira agli esseri mitologici che aiutarono la ninfa Ida ad allevare il giovane Zeus.


Le formazioni superficiali di pianeti e satelliti

Le principali formazioni superficiali di pianeti e satelliti, analogamente a quanto avviene per quelle della Terra, sono contrassegnate da altrettanti termini.

Una parte importante dell’attuale nomenclatura lunare deriva dalla mappa apparsa all’interno dell’opera Almagestum nouum, pubblicato a Bologna nel 1651; questa antica raffigurazione della Luna, disegnata dall’ottico gesuita Francesco Grimaldi, indica gli aspetti maggiori con i termini scelti dall’autore del libro, Giovanni Battista Riccioli, appartenente allo stesso ordine religioso.
I nomi dati da quest’ultimo ad alcuni dei crateri più brillanti sono quelli di importanti astronomi copernicani, come Keplero, Galileo, Lansberg e lo stesso Copernico, che ritenne appropriato individuare, forse con un pizzico di ironia, all’interno dell’Oceanus procellarum (Oceano delle Tempeste).

Il contesto storico in cui vennero fatte queste scelte, dedicate agli avversari della teoria ufficiale di una Terra immobile e al centro dell’universo, sembra rivelare la segreta adesione degli autori alla dottrina eliocentrica, specialmente in ragione del fatto che chiamarono con i loro nomi due crateri vicini, Grimaldus e Ricciolus, mentre ad altri astronomi gesuiti intitolarono i crateri posti più a sud in prossimità di Tycho.

L’incarico di riordinare la confusa designazione della superficie lunare, venutasi a creare dopo quasi tre secoli di attività, fu affidato dalla IAU a Mary Blagg e ad altri astronomi che nel 1935 completarono una prima lista sistematica, denominata Named Lunar Formation, negli anni Sessanta giunse a conclusione un altro importante lavoro dal titolo The System of Lunar Craters.
Questi due cataloghi, contenenti nomi e coordinate delle formazioni maggiori, sono diventati le fonti ufficiali per la nomenclatura del satellite terrestre.

I termini utilizzati da G.V.Schiaparelli, successivamente estesi da E.M.Antonialdi, per distinguere le diverse aree della superficie di Marte, sono stati il riferimento del catalogo completato nel 1958 da un apposito comitato.

Le imprese spaziali condotte dalle missioni Mariner, con il conseguente moltiplicarsi dell’attività di designazione, portarono all’istituzione nel 1970 di un gruppo di lavoro dedicato alla nomenclatura marziana, presieduto dall’astronomo Gerard de Vaucouleurs; qualche anno più tardi i gruppi furono riorganizzati e incrementati, affidando loro anche il compito di individuare i temi a cui ispirarsi nella scelta dei nuovi nomi.

Quando vengono riprese le prime immagini della superficie di un corpo celeste si sceglie un argomento per “battezzare” le sue più importanti formazioni, la successiva disponibilità di riprese ad alta risoluzione consente di denominare anche i dettagli superficiali minori, secondo le specifiche richieste degli astronomi.

Il nome proposto dal competente gruppo di lavoro, viene “adottato” dal WGPSN, da questo passa poi al Comitato esecutivo, dove sale al rango di “provvisorio”, ed infine giunge all’Assemblea generale IAU, riunita ogni tre anni, che lo converte in “ufficiale”.

Seguendo tali filoni tematici sono state assegnate alle vallate di Mercurio, ad esempio, i nomi di alcuni importanti radiotelescopi (Arecibo, Goldstone) e alle rupes (scarpate) i nomi delle navi usate dai grandi esploratori del passato: Santa Maria, la caravella di Colombo, e Resolution, l’imbarcazione usata dell’esploratore Cook durante la seconda spedizione nel Pacifico.

I crateri di Venere, con diametro superiore a 20 chilometri, hanno i nomi di donne che si sono particolarmente distinte nel campo delle scienze e dell’arte, tra le italiane rammentiamo: Agnesi (Maria, matematica del Settecento), Deledda (Grazia, scrittrice) e Magnani (Anna, attrice cinematografica).

Un apposito gruppo di lavoro è stato istituito nel 1984, per la nomenclatura degli aspetti superficiali di asteroidi e comete, tra le sue varie proposte citiamo soltanto quella di dedicare i crateri del pianetino Ida alle più importanti cavità naturali della Terra come la grotta Azzurra, nell’isola di Capri, e le grotte di Castellana, in provincia di Bari.

Gli aspetti caratteristici degli anelli che circondano alcuni pianeti prendono tradizionalmente il nome dagli astronomi che per primi li hanno studiati, come le divisioni di Cassini ed Encke attorno a Saturno.

Una designazione più recente e sistematica è formata dall’anno della scoperta, la lettera che indica il pianeta di appartenenza, il numero corrispondente all’ordine temporale di individuazione e, infine, la lettera R (iniziale della parola inglese ring); talvolta si associa a questa sigla anche un nome, scelto tra quelli di celebri scienziati.
Gli anelli 1989N1R (Adams), 1989N2R (Leverrier) e 1989N3R (Galle), ad esempio, si trovano attorno a Nettuno a distanze rispettivamente pari a 62.930, 53.200 e 41.900 km; mentre 1986U2R è uno degli anelli di Urano e 1979J3R corrisponde alla più ampia ed esterna delle formazioni che circondano Giove.


Solo anonime sigle per le stelle

Le stelle che si possono chiamare per nome sono solo le più luminose e l’origine dei termini scelti spesso si perdono nel lontano passato, ma in generale questi oggetti sono così numerosi da essere indicati soltanto con una successione di lettere e numeri.

Le sorgenti di radiazione, secondo le raccomandazioni della IAU, sono contrassegnate con una sigla formata da tre parti: acronimo, sequenza e specificatore.

L’acronimo è una stringa di almeno tre caratteri derivata dal titolo del catalogo (NGC), dal nome dell’autore (RCW), dallo strumento (IRAS) oppure dall’osservatorio utilizzato (VLA).

La sequenza corrisponde alla numerazione usata nel catalogo oppure alla posizione della sorgente preceduta dalla lettera J, nel caso di coordinate equatoriali per l’equinozio standard J2000.0, oppure dalla G se il sistema di riferimento sono le coordinate galattiche.

La sigla QSO J005109-4226.5 significa che l’oggetto, appartenente ad un elenco di quasar, ha ascensione retta 0h51m9s e declinazione 42°26’,5 Sud.

La posizione indicata nella sequenza contiene un numero di cifre significative adeguato ad eliminare eventuali ambiguità: la sigla rappresenta un vero nome e, una volta stabilita, non dovrebbe essere più modificata anche se la posizione dell’oggetto cambia nel tempo.

Lo specificatore, solitamente compreso tra parentesi, è opzionale e viene destinato ad indicare altri parametri caratteristici della sorgente. Le supernove, stelle di massa sufficientemente elevata che giunte al termine della loro evoluzione esplodono con uno spettacolare aumento di luminosità, sono contrassegnate dalle lettere SN, dall’anno e da una lettera maiuscola destinata ad indicare la successione temporale delle scoperte.

Quando una sola lettera non è più sufficiente si utilizza una coppia di lettere minuscole e in tal modo, ad esempio, alla SN 1996Z scoperta dall’astrofilo californiano Wayne Johnson è seguita, a distanza di poche ore, la SN 1996aa.

La nuova frontiera della nomenclatura astronomica sembra oggi appartenere ai pianeti extrasolari, per i quali le sigle circolate nelle pubblicazioni scientifiche e soprattutto i criteri a cui si ispirano hanno provocato alcune critiche, alimentate anche dalla temporanea assenza di regole ufficiali.

Il sistema provvisorio di identificazione si ispira a quello delle stelle doppie che addiziona al nome dell’astro principale la lettera A e al minore la B; l’esempio tipico di questi sistemi fisici è rappresentato da Sirio B, la nana bianca in orbita attorno alla stella più brillante nel cielo, individuata attraverso le oscillazioni indotte sulla compagna, come accade anche per i pianeti extrasolari.

Seguendo tale criterio l’oggetto orbitante attorno a 51Pegasi, scoperto nell’ottobre 1995 da M.Mayor e da E.Queloz, è stato identificato come 51Peg B; le successive scoperte del 1996 adottano ancora un formato analogo per i pianeti 70Vir B e 47UMa B.

La tradizione di accompagnare le sigle con dei nomi sembra resistere anche nel caso di questi oggetti: Bellerophon è stato così abbinato a 51Peg B, mentre Goldilocks può essere utilizzato al posto dell’anonimo 70Vir B.

Concludiamo questa breve panoramica, sulle modalità seguite nella designazione degli oggetti celesti, invitando tutti a diffidare di coloro che offrono, in cambio di un compenso, di dare il vostro nome ad un astro: questo privilegio naturalmente non è in vendita, ma basta essere dotati di molta buona volontà e un po’ di fortuna per guadagnarlo sul campo scoprendo la prossima nuova cometa.


Gianfranco Benegiamo

Gennaio 2000


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