Ora in Antartide si può andare al cinema
di Stefano Di Battista
pubblicato su Tuttoscienze de La Stampa n° 1185 del 22/06/2005
(per gentile concessione dell'autore)


"L‘Luna de Avellaneda’ del regista Juan José Campanella e ‘Sed’, opera d’esordio di Mausi Martìnez, il 12 aprile hanno inaugurato il primo cinema in Antartide. La ‘Sala bicentenario espacio Incaa latitud 90°’ è stata aperta alla base argentina Jubany, nelle Shetland Australi, a 62°14’ di latitudine sud. Vi operano in permanenza 14 tra tecnici e ricercatori, che salgono a un centinaio durante la breve stagione estiva. A Jubany la temperatura media annua (1987-2005) è di -1,6 °C, compresa fra gli estremi di 2,4 °C a gennaio e -5,3 °C a giugno e luglio.

La nascita di un cinema in Antartide può apparire notizia folkloristica: in realtà, dato l’isolamento ambientale e le difficoltà climatiche, le possibilità di svago sono assolutamente limitate per chi è confinato a latitudini dove l’inverno dura sei mesi e non esiste nulla di quel che la civiltà mette quotidianamente a disposizione. Il problema si pose fin dai primi approcci col continente. Durante la Discovery Expedition (1901-’04), Robert F. Scott trasse sollievo dalla lettura dell’Origine della specie di Charles R. Darwin. Nel corso del lungo inverno 1911 a Capo Evans (Barriera di Ross) invece, in preparazione del nuovo tentativo inglese di conquista del Polo Sud, il fotografo Herbert G. Ponting proiettava ai compagni diapositive sulla Birmania, l’India e il Giappone. E Paul A. Siple, primo comandante della base Amundsen-Scott, eretta dagli americani al Polo Sud geografico nel 1956-’57, racconta che le serate di mercoledì, sabato e domenica erano dedicate al cinema; in un’occasione, con una pellicola vista già una dozzina di volte, si provò a togliere l’audio e ci si divertì a ripetere i dialoghi senza errori.

Le privazioni cui sono sottoposti gli uomini in ambienti estremi rappresentano una prova superiore alle avversità del clima: tant’è che la selezione del personale per la base del Polo Sud fu condotta attraverso approfonditi test attitudinali onde escludere patologie claustrofobiche o disordini mentali. La sfera psicologica è sollecitata al punto da cercare rifugio nella memoria di cose elementari correlate ai sensi maggiormente esposti a stress: Siple ricorda che le conversazioni, di norma, vertevano sulle donne e sul cibo, in quest’ordine. La prima concatenazione è chiara, data l’assenza; l’altra invece deriva dalla monotonia del vitto. Ma le descrizioni forse più intime le ha offerte Apsley Cherry-Garrard, membro della seconda spedizione Scott, uno degli uomini che, nel 1912, partecipò alla ricerca dei compagni perduti sulla via del ritorno dal Polo Sud. L’ultimo capitolo del suo libro di memorie (Il peggior viaggio del mondo, Rizzoli) è significativamente intitolato ‘Mai più’. Scrive Cherry-Garrard: «L’esploratore polare deve sapere che dovrà affrontare gravi privazioni sia sessualmente, sia nella vita sociale. Fino a che punto il duro lavoro, o quella che si può chiamare fantasia drammatica, sono in grado di fungere da sostituto? Prendete a paragone i nostri pensieri durante le marce, i sogni notturni di abbuffate, il modo primitivo con cui la perdita di una briciola di galletta poteva provocare un risentimento duraturo. Notte dopo notte ho comprato focaccine dolci e cioccolata, ma mi svegliavo sempre prima di riuscire ad assaggiarle; alcuni compagni che non erano così tesi avevano maggior fortuna e riuscivano a consumare i loro pasti immaginari».


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Pagina caricata in rete: 12 luglio 2005; ultimo aggiornamento: 12 luglio 2005