NOTIZIARIO

ANNO VI - NUMERO 19
4° TRIMESTRE 1998


OSSERVARE GIOVE

Dopo un'estate in cui è stato ben visibile solo nella seconda parte della notte, finalmente Giove è arrivato nel cielo serale, ponendosi nella migliore condizione per essere studiato attentamente. Settembre ed ottobre sono stati i mesi migliori in assoluto, anche se per dare un'occhiata al gigante gassoso bisognava attendere che smettesse di piovere: in compenso, l'atmosfera era sufficientemente calma per poter scrutare i dettagli più vistosi della sua superficie, sempre in movimento e mai uguale.
A novembre il numero delle notti serene è cresciuto notevolmente, ma è stata sempre presente una turbolenza fissa in alta quota che spesso impediva di vedere perfino le formazioni più evidenti, fermo restando che solo l'esperienza osservativa permette di cogliere quelle più piccole ed elusive.

Ma cosa si può vedere su Giove?
Il pianeta ha una superficie gassosa, strutturata in bande scure e zone più chiare, che si ripetono in maniera simmetrica nei due emisferi nord e sud.

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Immagine 1-disegno di Giove effettuato da Paolo Beltrame

Il globo è fortemente schiacciato per la rapida rotazione (che compie in meno di 10 ore), e ci sono varie correnti che spostano i dettagli in maniera diversa a seconda della latitudine.

E' rimarchevole il fatto che tutta la zona equatoriale (le due bande SEB e NEB e la zona interposta) ha un periodo di rotazione di 9 ore e 50 minuti (Sistema I), mentre il resto del pianeta compie un giro ogni 9 ore e 55 minuti (Sistema II).

Una differenza di 5 minuti può sembrare misera, ma in capo a una settimana si accumula fino a raggiungere i 70 minuti; in pratica due dettagli passanti in meridiano alla stessa ora, se sono disposti su due sistemi diversi, in capo a una dozzina di giorni si trovano sfasati di un ottavo di giro.
Addirittura all'interno di ogni sistema ci sono varie correnti a diversa velocità, per cui con il trascorrere dei giorni si potranno osservare dettagli, come formazioni gassose WOS od altro, andarsene ognuno per conto proprio, sempre che siano duraturi.
Infatti i dettagli più piccoli non durano che pochi giorni, e tutta l'atmosfera si rinnova in poche settimane, ad eccezione delle formazioni "storiche".

Queste sono, essenzialmente, tutte formazioni di origine ciclonica: la Grande Macchia Rossa (GRS), e i tre ovali bianchi (WOS).
La prima ha un diametro di 25.000 km, ed è presente da almeno 400 anni, cioè da quando l'uomo ha avuto la possibilità tecnica di osservarla (NdR: Galileo Galilei con il primo telescopio).
E' un grosso ovale, allungato nella direzione della rotazione del pianeta, ed è posizionata sul bordo sud della SEB, con la quale interagisce in modo vario, solitamente con la formazione di piccoli ovali chiari all'interno della banda, i quali si dissolvono in breve tempo.

Le due bande equatoriali sono le prime caratteristiche osservabili su Giove; già un rifrattore da 60 mm è in grado di mostrarle, una volta superata la ventina di ingrandimenti.
Un rifrattore da 100 mm. (o un riflettore dai 150 mm. in su) mostreranno che sono tutt'altro che uniformi, presentando condensazioni scure o intrusioni chiare.
In questo periodo, possiamo notare che la NEB produce dei pennacchi verso l'equatore del pianeta; in pratica ce ne sono sempre almeno un paio in vista, se non tre o quattro.

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Immagine 2-disegno delle bande di Giove effettuato da Mauro Zorzenon. Clicca l'immagine per ingrandirlo.

La SEB, invece, presenta una fascia chiara che la divide in due parti, che però non sono uguali; infatti la banda chiara può essere posizionata più a sud o a nord, ed essere sottile o spessa. Comunque è diversa ogni volta che viene osservata e muta il suo aspetto con notevole velocità.
Nelle serate più stabili può dare l'impressione di essere formata da una catena di piccoli ovali bianchi, che però variano da un giorno all'altro in numero e dimensioni. A dire il vero neanche le due bande equatoriali sono stabili, nel senso che la SEB ha avuto dei periodi (l'ultimo nei primissimi anni '90) in cui è sbiadita al punto da rendersi invisibile, mentre ora è solo leggermente più chiara dell'altra.
La NEB inoltre, nelle migliori serate sembra essere il risultato di due bande distinte che si attorcigliano l'una all'altra, mostrando condensazioni scure e filamenti chiari interposti.

A latitudini più elevate, l'attività diventa molto più blanda, con alcune eccezioni; a nord troviamo la NTB, sottile e molto scura, e poi la debole NNTB che si sfuma nella zona polare.
A sud, invece, troviamo la Macchia Rossa che, sebbene in strumenti da 100 mm. in giù sia incolore, in quelli di 200 mm o maggiori mostra una colorazione rosa-arancio: purtroppo sono parecchi anni che la situazione è stazionaria e che la Macchia è sbiadita.
Negli strumenti più piccoli, si può notarla per la zona chiara che si scava sul bordo meridionale della SEB. Al suo interno non è uniforme, e presenta una zona più scura leggermente decentrata.

Più a sud c'è la STB, o meglio alcuni tratti di essa, poiché è una banda molto irregolare e a volte sembra non esserci del tutto, anche se negli ultimi giorni sono sorte delle condensazioni scure allungate che ne migliorano la visibilità.
La novità degli ultimi mesi, comunque, è una piccola macchia scura di forma tondeggiante, simile all'ombra di un satellite ma molto meno contrastata. Resiste già da qualche mese e recentemente ne è spuntata un'altra un po' meno visibile.

Ad arricchire lo scenario di queste latitudini c'è la presenza dei WOS, gli ovali bianchi formatisi negli anni '50. Recentemente due di essi si sono fusi insieme, perciò ne restano due, anche se è da notare che la zona temperata è piena di ovali bianchi di dimensioni inferiori e solitamente invisibili.

Quindi arriviamo alla zona polare sud, che è abbastanza uniforme e priva di dettagli, al pari di quella nord.

Altre particolarità sono la colorazione giallastra della zona equatoriale, visibile solo negli strumenti medi o grandi, e le irregolarità della NTB, a prima vista rettilinea, ma che spesso pare spezzata e divisa in più componenti.

Nell'osservazione sono utilizzabili con successo alcuni filtri colorati: il giallo permette di notare ovali chiari nella zona equatoriale, il blu scurisce la Macchia Rossa aumentandone la visibilità e con il rosso diventano evidenti alcuni formazioni di colore blu come alcuni pennacchi della NEB.

Oltre alle formazioni proprie del pianeta, sono interessanti da osservare i transiti dei satelliti e quelli delle loro ombre: i primi presentano una certa difficoltà se le condizioni sono sfavorevoli (satellite chiaro davanti a zona chiara), mentre i secondi danno sempre soddisfazione.

Negli strumenti di almeno 150 mm. (100 mm. se a lenti) è possibile riconoscerle individualmente dalle dimensioni apparenti, maggiori per i satelliti esterni (Ganimede e Callisto) e minori per quelli interni (Io e Europa).
In ogni caso, effettuare un'osservazione del pianeta è ben diverso dal dargli una semplice occhiata. Innanzitutto è fondamentale approfittare di una serata con bassa turbolenza: bisogna controllare che le stelle scintillino poco o non scintillino affatto, almeno quelle allo zenit.

Non bisogna guardare quelle basse sull'orizzonte perché scintillano sempre, e neppure il pianeta stesso, perché ad occhio nudo non scintilla. Poi è necessario lasciare ambientare parecchio lo strumento, specialmente se proviene da un ambiente molto più caldo di quello esterno; un'ora è il minimo per avere il massimo delle prestazioni.

La regola fondamentale, infatti, è minimizzare la turbolenza, sia quella esterna che quella interna allo strumento. Se infatti quella in quota è ineliminabile, si può avere l'accortezza di non osservare se il pianeta è vicino ad un tetto o a qualche fonte di calore, sempre dopo che lo strumento si è acclimatato.
In caso di turbolenza insistente (cattivo seeing) non si vedrà nulla oltre alle due bande principali; se il seeing è medio, ci saranno dei momenti in cui l'immagine si stabilizza e durante i quali osservando attentamente si vedranno le bande arricchirsi di dettagli e particolari, fino a quando l'agitazione ricomincerà.

Purtroppo le serate di seeing ottimo, in cui l'immagine è stabile per lunghi periodi, sono veramente rare e perciò vanno sfruttate fino in fondo.
L'osservazione-tipo si svolge in due o tre fasi, a seconda dell'osservatore. La prima consiste nel guardare il pianeta per alcuni minuti, cercando di vedere tutti i dettagli che l'immagine presenta.

Il passo successivo è il disegnare i contorni delle bande, cercando di rispettare le distanze tra l'una e l'altra, aggiungendo solo in seguito i dettagli interni e le bande meno evidenti, ricordandosi di partire sempre dai dettagli più grossi per passare a quelli più piccoli.
Poi si possono far risaltare le differenti sfumature di ogni banda, e qui sono possibili due pratiche diverse: la prima consiste nel riportare sullo schizzo le stime di intensità delle bande e rifare il disegno più tardi con calma; la seconda nel completare il disegno sul posto, stando attenti in ogni caso che già in 10 minuti il pianeta ruota apprezzabilmente e quindi i dettagli più grossi vanno posizionati subito, e gli altri aggiunti dopo in relazione a quelli già disegnati.

In ogni caso è bene notare che anche con strumenti medi, in condizioni normali al primo colpo d'occhio Giove presenta solo alcune bande uniformi. Il problema è quello classico dell'osservazione planetaria, cioè cercare dettagli su un dischetto piccolo e molto luminoso.
Non si esageri con l'ingrandimento poiché i contrasti sono bassi e l'immagine si impasta subito; piuttosto si continui ad osservare fino a che l'occhio si abitua e l'abbagliamento termina.

Allora si potranno notare delle zone più scure sulle bande e si cercherà di fissare esattamente il punto in cui si trovano, così come si potranno cercare degli ovali chiari nelle zone polari.
Resta il fatto che questo processo di adattamento si ripete ogni volta e su scale diverse: dopo le prime osservazioni sarà più facile trovare subito i dettagli medi e piccoli, e il "feeling" con il pianeta aumenterà di volta in volta.

In ogni caso non bisogna lasciarsi spaventare dal cattivo seeing che arriva quando soffia il vento o c'è instabilità atmosferica: solo con un minimo di pazienza si può cominciare a carpire i segreti del gigante del nostro sistema solare.

Paolo Beltrame


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Testo e immagine 1: Copyright 1998 © di Paolo Beltrame
Immagine 2: Copyright 1998 © di Mauro Zorzenon
Adattamento web: Lucio Furlanetto

Pagina caricata in rete: autunno 1998; ultimo aggiornamento (3°): 29 febbraio 2004