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"IMPACT '99"
Relatore : Korado Korlevic

(direttore dell'Osservatorio Astronomico di Visnjan - Croazia)


Aiello del Friuli - 4 giugno 1999

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Venerdì 4 giugno 1999 è stato un giorno importante per la planetologia mondiale: si è concluso il workshop internazionale Impact '99, dedicato ai corpi minori del Sistema Solare, in particolare alle comete e asteroidi che potrebbero entrare in una rotta di collisione con la Terra.
L'importanza dell'evento è presto detta: se un corpo del diametro superiore al chilometro impattasse con il nostro pianeta, l'esistenza del genere umano, come civiltà tecnologica, sarebbe spazzata via, in qualunque punto del pianeta cadesse il corpo. Ove il corpo avesse il diametro d'una decina o più di chilometri noi, e tutte le attuali forme di vita superiore del pianeta, spariremmo.

Per sempre!

A questo proposito avevamo già tenuto alcune conferenze, al cui testo rimandiamo per un ulteriore approfondimento successivo; in particolare potete leggere il testo di quella del 23 febbraio 1996, dove proprio Korado Korlevic c'illustrò gli "Impatti cosmici sul pianeta Terra", oppure quella del 31 maggio 1996 dove lo stesso ricercatore croato ci parlò dei "Grandi misteri del pianeta Terra alla luce della scienza".
Forse però quella che ha maggiore attinenza con l'attuale testo è quella che egli tenne nel 1993 a Palmanova, la quale potrà essere consultata tra poche settimane sempre in questo sito. Venne dedicata all'esplosione del 1908 in Tunguska, sito esplorato anche da Korlevic nella storica missione del 1990, la prima alla quale parteciparono ricercatori occidentali. Una fotografia d'archivio di quell'evento è riportata qui sotto; è tratta dall'archivio dello Smithsonian Institution, mentre il disegno sulla destra di John Pike raffronta le dimensioni dell'areale interessato dal disastro in rapporto alle superfici delle metropoli di New York e Washington.

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Figura 1 - Il 30 giugno 1908, alle 7.40 del mattino, un proiettile cosmico esplose nel cielo sopra la Siberia. Esso abbattè 2.000 km2 di foresta nella regione di Tunguska. Se un evento similare dovesse accadere oggigiorno, centinaia di migliaia di persone potrebbero morire, e i danni verrebbero misurati in migliaia di miliardi di dollari.

(Gentile concessione: fotografia dello Smithsonian Institution, disegno di John Pike)

L'ecosistema complessivo sarebbe talmente sconvolto che nessun essere superiore potrebbe sopravvivere alle drammatiche condizioni di vita che si creerebbero su scala planetaria; accadrebbe che la natura dovrebbe ripartire da forme di vita di complessità inferiore (se all'apice attuale mettiamo l'Homo Sapiens Sapiens), prendendo nuove strade evolutive e, chissà, portando altre specie viventi all'apice della colonizzazione della Terra.

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Figura 2 - I grandi impatti sono il principale rischio, come si può vedere dall'indicazione schematica del grafico. L'aspettativa di mortalità per evento è una funzione del diametro (e quindi dell'energia) dell'oggetto impattante. (Gentile concessione di C. Chapman)

Da queste prime righe si comprende subito quanto fossimo nell'attesa dell'inizio della conferenza giacché, le conclusioni dei quattro giorni di lavori del workshop, ci sarebbero state illustrate da Korado Korlevic, direttore dell'osservatorio astronomico di Visnjan in Croazia, uno dei partecipanti di Torino. Egli, di ritorno dalla città piemontese, si sarebbe trattenuto con noi ed il pubblico ad Aiello del Friuli, località della Bassa Friulana a pochi chilometri da Palmanova, già meta di due nostre conferenze. L'appuntamento, localmente organizzato dal Circolo Culturale Navarca, era molto sentito.
Dopo una mia breve introduzione del relatore, nella quale ho tratteggiato il lavoro svolto negli ultimi anni da Korlevic e dal suo gruppo a Visnjan, nell'Istria Croata, ho accennato alle nuove scoperte scientifiche che il loro gruppo ha effettuato.
Visnjan, leader nella ricerca astronomica nel nostro gruppo Alpe-Adria (inglobante le locali associazioni croate, italiane, slovene e anche un'austriaca), ha in pochi anni scoperto migliaia d'asteroidi, tre comete (anche se solo due riconosciute ufficialmente), alcune novae e parecchie stelle variabili.
Non solo nel gruppo Alpe-Adria, ma in tutt'Italia, il C.C.A.F. di Farra d'Isonzo può vantare, nel settore della ricerca asteroidale, risultati comparabili. L'indiscutibile leadership croata ha permesso loro di acquisire lo strumento che sino ad alcuni anni fa rappresentava il massimo telescopio della nostra regione: il 104 cm di diametro che stazionava presso l'Osservatorio Astronomico di Trieste. Ora questo strumento, revisionato e ricostruito, sta per essere montato sulla torre del loro nuovo osservatorio, che diverrà il più grande d'Europa nel settore non "professionistico", assieme ad uno strumento similare (come diametro) situato in Francia.

Korlevic ha esordito brutalmente, in maniera diretta, come sua consuetudine:
"L'incontro è stato talmente importante che si è fatta anche una scala, com'esiste una scala Richter per descrivere i terremoti; ci sarà così la Scala Torino per spiegare quant'è pericoloso un asteroide.
Allora, quando si affermerà che un oggetto è di 3° nella Scala Torino, sapremo che è un oggetto da tener bene in vista, controllarlo anno per anno perché non andrà ad impattare subito, ma basta una piccola perturbazione per venirci contro. Se l'oggetto è di 8°- 9° allora esso è un problema."

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Figura 3 - Mappa dei circa 130 crateri d'impatto che sono stati identificati. La loro dimensione varia in diametro tra i 140 e i 200 km ed hanno un'età inferiore ai due miliardi d'anni. La maggior parte dei crateri sono stati identificati in Australia, Nord America e nell'Europa dell'est in particolare perché queste aree sono state relativamente stabili per un considerevole periodo geologico, il quale ha preservato antiche registrazioni geologiche, e perché sono stati condotti in queste aree programmi di ricerca attiva. (Gentile concessione di R.A.F. Grieve, Geological Survey of Canada)

Il relatore ha iniziato alla grande, tutto il pubblico ha seguito interessato il suo discorso; Korado prosegue dicendo:
"Alla conferenza c'erano anche dei militari; se c'è un pericolo dal cielo, che si può evitare, sono gli unici che possono fare qualcosa. C'erano sia militari americani sia russi; sono loro che hanno i mezzi per fermare un Matajur che ci viene addosso."
(N.d.R.: il Monte Matajur o Monte Maggiore, situato sul confine italiano - sloveno, è una delle mete preferite degli astrofili, con i suoi 1641 metri d'altezza.)
"Parlando così, s'è visto che ci sono ancora alcuni problemi, perché per fermare una montagna bisogna produrre una grande esplosione, generata da una super bomba, che è un qualcosa centinaia di volte più potente di qualunque altra sia stata mai stata fatta dall'uomo sulla Terra."
"Si sta lavorando in tutti i campi e la ricerca ha fatto cose incredibili negli ultimi nove mesi, al punto che quello che si sapeva prima è da considerarsi ormai preistoria. I militari hanno messo a disposizione telescopi, apparecchi elettronici da fantascienza, cose che prima erano usate solo per spiare i satelliti russi. Siccome i satelliti russi non sono più un pericolo, questi strumenti fantascientifici sono usati per cercare queste enormi rocce che vagano nello spazio."

A questo punto capiamo dal racconto del ricercatore croato, che ricordiamo ha scoperto o co-scoperto tre comete, due delle quali portano il suo nome, che quello che bolle in pentola è un grosso affare; in mezzo ci sono scienziati, militari, strumenti al limite della tecnologia attuale e super bombe. L'interesse del pubblico sale ancora. Korlevic cita alcune cifre per farci capire quanti siano i corpi che sono potenzialmente pericolosi per nostro e gli altri pianeti interni del Sistema Solare. Non dimentichiamoci che molti di loro potrebbero devastare anche le superfici planetarie di Marte e Venere, portando dei risultati ai quali non siamo ancora in grado di quantificare perfettamente. Ma alcuni esempi sulla Terra ci bastano ed avanzano, per capire di quanta energia essi siano portatori; uno per tutti è il famoso Meteor Crater dell'Arizona visibile nell'immagine qui sotto.

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Figura 4 - Il Meteor Crater in Arizona, USA; è uno dei crateri da impatto più giovani presenti sul nostro pianeta. Studi sul campo indicano che il cratere si formò circa 50.000 anni fa dalla caduta di un piccolo asteroide ferroso; la velocità d'impatto finale, pari a 11 km/s, produsse l'energia equivalente all'esplosione di quella d'una bomba termonucleare da 10-20 Mton. Il risultato fu la formazione di un cratere concavo approssimativamente largo 1200 metri e profondo oltre 200 metri, circondato da un'estesa formazione di bianchi ejecta. (Gentile concessione di R.J. Roddy e K.A. Zeller, U.S. Geological Survey)

Nel Sistema Solare ci sono parecchi corpi minori, suddivisi in due categorie principali: comete e asteroidi. Le tipologie dei due oggetti sono molto diverse, in quanto le prime sono formate principalmente da ghiaccio d'acqua, misto a conglomerati di roccia, e si sono formate nella parte più esterne del Sistema Solare primordiale. Gli asteroidi sono composti principalmente da roccia, anche se con tipologia mineralogica, densità e coesione interna differenti a seconda della classe d'appartenenza.

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Figura 5 - Una comparazione dello spettro di riflettenza di asteroidi e meteoriti. (Gentile concessione di C. Chapman)

Essi sono il retaggio della mancata aggregazione di materia, risalente alla formazione del nostro sistema planetario, che si trovava tra le orbite di Marte e di Giove; aggregazione bloccata dall'influenza gravitazionale del gigante gassoso.
La materia dei planetesimi originari si conglobò in corpi di taglia sempre maggiore, portando all'acrescimento dal quale si originarono i vari pianeti. A seconda della loro distanza dal Sole, essi si formarono con materia di composizione e densità diverse, maggiormente densa nel Sistema Solare interno (vedi Mercurio, Venere, Terra e Marte) e con maggiore composizione gassosa, principalmente Idrogeno ed Elio, per i corpi più esterni (Giove, Saturno, Urano e Nettuno).
I pianetini hanno una forma altamente irregolare, se si esclude quella dei pochi corpi delle dimensioni comprese tra i 500 ed i 1000 km, dovuta sia alla bassa autogravità (che per corpi sopra i mille chilometri di diametro porta l'oggetto alla forma sferica), che per l'alta probabilità di collisione reciproca presente nella Fascia Asteoridale Principale. Un esempio della loro forma irregolare può essere data dall'immagine di Ida visibile qui sotto.

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Figura 6 - L'asteroide Ida con il suo stallite Dactyl, ripresi dalla sonda Galileo a ridosso del suo flyby del 26 agosto 1993. (Gentile concessione del NASA Ames Space Science Division)

Ma quanti asteroidi ci sono? Questa domanda ha profonde implicazioni, com'è stato fatto rilevare al simposio torinese, in quanto, un elevato numero di oggetti orbitanti nei pressi del nostro pianeta, aumenta di parecchio la probabilità che uno di essi possa collidere con noi. Uno dei dati recenti afferma che, come minimo, dovrebbero esistere 1.600 asteroidi più grandi d'un chilometro, con un'orbita di collisione possibile; il grafico di Bowell sotto riportato ne stima addirittura 2.100. (NdR: uno studio pubblicato nel 2004 tende a ridurre questo dato, ma si devono compiere ulteriori ricerche per averne la conferma.)

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Figura 7 - Numero stimato degli asteroidi Earth-crossing più grandi di un certo diametro. (Gentile concessione di E. Bowell)

Un'altra domanda che frequentemente viene posta è: "Quanto spesso accade un impatto?" Korlevic risponde con una battuta: "Un colpo in 100.000 anni, sarebbe una scalogna incredibile, se accadesse proprio quest'anno. Se però dovessimo affidare la nostra esistenza al fatto che la probabilità di caduta di un simile corpo sulla Terra fosse solamente di 1/100.000, non ci sarebbe molto da stare allegri."
Il grafico di Shoemaker sotto riportato tenta di dare una risposta scientifica, invece di una battuta di spirito, ma il significato dell'affermazione del ricercatore croato resta valido, in quanto è già difficile prevedere il comportamento a breve d'un oggetto la cui orbita è conosciuta. Se poi stimiamo in migliaia gli oggetti sconosciuti che potrebbero "venirci addosso", allora la situazione si presenta molto complicata; al punto che si può sì stimare la frequenza di collisione, ma non affermare con certezza che l'anno prossimo non ci sarà un impatto.

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Figura 8 - Frequenza stimata degli impatti sulla Terra dell'attuale popolazione di comete e di asteroidi, comprovata dai crateri lunari. Sono mostrati i Megaton equivalenti d'energia, per quanto sia possibile, e una soglia press'appoco stabilita per una catastrofe globale. (Tratto da Shoemaker 1983)

Egli prosegue:
"Il congresso Impact '99 è stato fatto a Torino perchè l'Italia, nonostante non abbia grandi telescopi che lavorano in questo campo, ha tre grandi scienziati. I primi tre matematici nel mondo per calcoli d’orbite sono italiani; provengono da Pisa, Trieste e Torino. Milani e Valsecchi sono stati quelli che hanno capito che un oggetto cui nessuno dava importanza, chiamato 1999 AN10, aveva un moto molto strano. Due volte l'anno interseca l'orbita terrestre, ogni 7 Agosto e 2 Febbraio. Alla conferenza si è concluso che l'oggetto non è ancora di grado uno, significando con ciò che la sua probabilità d'impatto non è ancora tale da preoccuparci particolarmente. Ogni volta che passa la Terra lo attrae sempre di più e nel 2027 si potrà vedere bene ad occhio nudo. Forse nei prossimi 700 anni potrebbe diventare pericoloso."
[Nota: Paolo Farinella (Migliarino (FE), 13 Gennaio 1953 - Bergamo, 25 Marzo 2000) è deceduto prematuramente il 25 marzo 2000; l'astronomia, e soprattutto la planetologia mondiale, dopo Eugene Shoemaker perde un altro dei suoi protagonisti. Farinella era il terzo degli scienziati citati poc'anzi da Korado Korlevic. ]

Gli astrofili operanti nel settore, o quelli che dispongono di informazioni aggiornate, eravano venuti già a conoscenza della peculiarità dell'orbita di 1999 AN10; quest'oggetto, inizialmente, aveva mobilitato i caratteri cubitali della stampa e delle televisioni, sempre pronte a dare sfogo al sensazionalismo più becero, non preoccupandosi dei distinguo che i ricercatori solitamente aggiungono a situazioni matematicamente particolarmente complesse. Gli stessi Milani e Valsecchi avevano gettato "acqua sul fuoco", riferendo che il corpo si sarebbe sì approssimato parecchio alla Terra, al punto da rendersi visibile ad occhio nudo nella notte del massimo avvicinamento durante l'anno 2027, ma sarebbe comunque transitato ad una considerevole distanza dal nostro pianeta, quantificabile in parecchie volte la distanza intercorrente tra la Terra e la Luna. Chi si ricorda i titoloni del periodo non si dimenticherà l'allarme ingiustificato procurato da suddetti "organi d'informazione". Purtroppo le precisazioni o correzioni degli scienziati valgono poco, meno di zero quelle degli astrofili, nonostante parecchi di essi dispongano d'un elevato grado di conoscenza e preparazione nel settore!

Korlevic prosegue tratteggiando sommariamente l'attuale panorama astronomico del nostro paese: "L’Italia, anche se per adesso non ha i grandi telescopi che servono per la ricerca di questi oggetti, ha tantissimi piccoli, ma rispettabili, telescopi in mano a gruppi d'astrofili che stanno facendo grandi cose".
(N.d.R.: ricerche e scoperte; citiamo per tutti i colleghi regionali del C.C.A.F. di Farra d'Isonzo.)
"Però l’Italia potrebbe diventare la punta di diamante in questa ricerca quando sarà costruito un nuovo impianto radar in Sardegna, un radar spaziale di 72 metri di diametro, con la possibilità di misurare distanze nell’ordine d'alcuni metri a cinque milioni di chilometri di distanza. Avrà la possibilità di fare immagini di quest'oggetti in tre dimensioni, "roba da fantascienza" solo pochi anni fa, e dovrebbe entrare in funzione nell'anno 2002".
"Allora, fra 3-4 anni, l’Italia avrà un mega telescopio ottimizzato allo scopo della ricerca degli asteroidi; esiste uno strumento simile negli Stati Uniti, però è usato pochissimo perché non è dedicato solamente a questo scopo. L’Italia con quel telescopio e con quei matematici allora sarà ben presente: non per niente (il sistema di misura ora) si chiama Scala Torino; si poteva chiamare Scala New York o altro ancora. L'attuale situazione scientifica non è messa male; gli americani e i giapponesi stanno facendo grandi cose, ma è la situazione politica che è strana."
"C’è un po’ d'amarezza per l’impotenza che abbiamo (ancora) adesso nei confronti del mondo politico perché, se degli scienziati vanno da dei politici e affermano che ci sarà un terremoto, di sicuro si fa qualcosa. Ancora oggi, invece, gli astronomi non sono riusciti ad arrivare ai politici.
"La probabilità è piccola, però se accade (una catastrofe come quella generata da un piccolo asteroide) non ci saranno 10 mila morti, ma (almeno) 10 milioni di morti."

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Figura 9 - Il 10 agosto 1972, un vigile fotografo nel Parco Nazionale Gran Teton registrò il passaggio d'un oggetto stimato di 10 m di diametro e pesante parecchie tonnellate. L'oggetto mancò per un pelo la collisione con la superficie terrestre, quantunque esso s'infiammò nella nostra atmosfera per 101 secondi, tanto che viaggiò intorno ai 15 km/s per 1.475 km. (Fotografia di James M. Baker, gentile concessione di Dennis Milon)

Un'altra immagine la mostra una panoramica diversa.

E a proposito di 1999 AN10, il ricercatore ribadisce:
"Sentirete parlare tantissimo di quest’oggetto, perché è il primo veramente pericoloso. Nei prossimi vent'anni si sentirà parlare del radar in Sardegna, di Milani e sentirete parlare anche di vita nell’universo; non solo da scienziati, ma anche dal Vaticano. Negli ultimi cinque anni le conoscenze, su come nasce la vita e di come la vita è possibile, sono cresciute in tale modo che si è capito che la vita dev'essere qualcosa di comune nell’universo, che non è possibile che la vita esista solo sulla Terra. E quando hanno deciso che qualcosa bisognava fare, i biologi hanno detto: "Be' andiamo a vedere che cosa abbiamo in giro e vediamo dove potrebbe vivere vita terrestre". Si è perciò scoperto che (essa) potrebbe vivere non solamente sul nostro pianeta, ma nel Sistema Solare potremmo benissimo portare i nostri batteri."

Ricordo che nel novero delle tante missioni interplanetarie già effettuate, la NASA effettuò già una volta la ricerca di vita extraterretre. Un ricordo ancora vivido, per il pubblico che segue l'esplorazione spaziale in maniera meno distratta del solito, è quello delle due sonde americane Viking le quali, nel 1976, rilasciarono due moduli (lander) che scesero sulla superficie del pianeta Marte il 20 luglio e il 3 settembre 1976.
Scopo principale della missione fu quello di comunicare preziose informazioni sull'atmosfera e sulla superficie del pianeta rosso. I lander trasmisero per molti mesi, tra gli altri, i dati della composizione, temperatura, pressione, umidità dell'atmosfera nei pressi dei siti di discesa, mentre i due orbiter fotografarono l'intera superficie planetaria con una definizione senza precedenti, per gli standard dell'epoca. Quest'informazioni permisero di redigere la carta d'una vera e propria meteorologia marziana, con tanto di previsioni locali! I due lander furono attrezzati pure con due laboratori atti all'analisi di un'eventuale presenza di vita sul pianeta, ma alcune situazioni particolari, come forse le condizioni locali dei due siti di discesa, il periodo nella vita del pianeta (forse ormai già sterile), la poca penetrazione sotto la superficie per la raccolta del terreno d'analizzare, la presunta inadeguatezza degli strumenti per cercare anche forme di vita "diverse" da quelle terrestri, fecero sembrare al grande pubblico un fiasco colossale quella che fu (e resta) una delle missioni di maggior successo nell'esplorazione dell'intero Sistema Solare.

Dopo questo parziale insuccesso gli scienziati non si sono dati per vinti ed il conferenziere aggiunge:
"Alcune delle ultime scoperte scientifiche potrebbe implicare che la vita si sia sviluppata da sola negli oltre quattro miliardi e mezzo anni (da quando si è formato il Sistema Solare). Quando parliamo di vita pensiamo subito all’acqua; è quasi impensabile un deserto con la vita e gli astronomi sono andati a cercarla. Ma L’acqua c’è?"
"La sorpresa è stata grande, perché dopo decenni che s'affermava che l’acqua nel Sistema Solare c’era solo sulla Terra, si è scoperto che l’acqua si trova un po’ dappertutto e non solo in piccole quantità. Quanto è importante l’acqua?"
"Acqua liquida significa soprattutto una gran probabilità di trovare la vita o (almeno) una gran probabilità d'avere quella zuppa complicata di molecole che prima o dopo dovrebbero produrre un qualcosa che genererà la vita. La storia della vita non è recente, ma gli astronomi, e ancora prima i filosofi, pensavano veramente che il cielo dovesse essere popolato se non dagli uomini dagli dei."
"Gli astronomi del secolo scorso guardavano il cielo, e specialmente i pianeti vicini, cercando la vita, anche se non lo si diceva pubblicamente. Anche se si dice ancora adesso "che cosa c'importa di quel sasso che ci gira intorno" (intendendo la Luna), se si trovasse un solo batterio o un fungo esso sarebbe enormemente più importante (di qualsiasi altra scoperta mai fatta). Quello che cercavano veramente gli astronomi del passato erano i segnali di possibili forme di vita sui pianeti vicini."

Al riguardo si legga il testo sintetico di un'altra conferenza proposta dal C.AS.T., quella tenuta il 3 novembre 1995 dal professor Steno Ferluga (docente all'Università degli Studi di Trieste): "Siamo soli nell'universo ?"

Non poteva mancare, nell'inquadramento storico dello studio sulla comparsa della vita, un accenno alle comete "portatrici di vita", teoria conosciuta come della panspermia. "Ogni volta che passava una cometa, i nostri avi collegavano quest'apparizione alle carestie o alle guerre o alla peste. Ma per quello che si è visto, per quanto riguarda l'analisi dei loro spettri d'emissione, si pensa che ci siano tutti gli ingredienti che sono richiesti per la nascita della vita. Le comete adesso sono palle di ghiaccio sporco (ipotesi -confermata- di Fred Whipple), ma non lo sono sempre state. Una volta esse erano enormi palle liquide con una crosta di ghiaccio."
"Tutta la nostra scienza, valida sino a 3-4 anni fa, è stata rimessa in discussione; ora non ci sono più "domande stupide", ogni domanda è lecita. Nei prossimi dieci anni partiranno alla volta delle comete qualcosa come sei navicelle spaziali: alcune di loro si caleranno sul nucleo per prelevarne dei pezzi di ghiaccio, con tutte le sostanze organiche presenti in esso, e li porteranno sulla Terra per essere analizzati nei nostri laboratori." "Però non è così semplice, perché non si può portare qualcosa, nel quale si suppone ci siano molecole pericolose, senza passare prima la quarantena. (Allo scopo) la N.A.S.A. sta costruendo un nuovo centro, completamente isolato e sicuro, per mettere in quarantena tutti i campioni che saranno riportati a terra dalle sonde spaziali. Il problema dell'inquinamento biologico esiste."

Dopo l'analisi dedicata alle comete, ora Korlevic passa in rassegna alcuni corpi planetari. Per puntualizzare, tracciamo brevemente le tappe della loro esplorazione tramite le sonde interplanetarie; tra parentesi segnamo la data del massimo avvicinamento o la durata della missione.
Mercurio: esplorato solo dalla Mariner 10 (1974).
Venere: esplorato da varie sonde russe e americane; Mariner 10 effettuò un gravity assist il 5 febbraio 1974. Ha cambiato radicalmente fisionomia dopo l'esplorazione particolareggiata della Magellan (1990-1991). E' stato visitato, per un flyby, dalla Cassini (26 aprile 1998 e il 24 giugno 1999).
Marte: esplorato da quasi una ventina di sonde, come detto precedentemente, è stato meglio conosciuto dopo le missioni Mariner 4 (1965, che ha trasmesso le prime fotografie della sua superficie), Mariner 9 (1971), Viking 1 e 2 (1976), Mars Pathfinder (luglio-agosto 1997, con il robot semovente Sojourner attivo per tre settimane), Mars Global Surveior (mappatura completa della superficie in alta definizione dal 1997 e ancora in corso), Mars Express (europea, 25/12/2003), Mars Spirit (inizio gennaio 2004) e Mars Opportunity (fine gennaio 2004).
Giove: esplorato dai Pioneer 10 e 11 (1977), Voyager 1 (lanciata il 5 settembre 1977, lo raggiunse il 5 marzo 1979), Voyager 2 (lanciata il 20 agosto 1977, prima del Voyager 1, lo raggiunse il 9 luglio 1979) e Galileo (dal dicembre 1995 al settembre 2003). Sorvolato dalla Cassini, per un flyby, il 30 dicembre 2000.
Saturno: esplorato dal Pioneer 11 (1979), dal Voyager 1 (12 novembre 1980), e dal Voyager 2 (25 agosto 1981). La missione più importante in corso è la Cassini, che lo raggiungerà nel 2004; il modulo Huygens verrà sganciato su Titano (il maggiore satellite: sarà la prima esplorazione dettagliata).
Urano: esplorato dal Voyager 2 (24 gennaio 1986).
Nettuno: esplorato dal Voyager 2 (25 agosto 1989).
Plutone: mai esplorato direttamente, ma è in preparazione una missione.

Riprendendo l'analisi di dove potrebbe trovarsi la vita, Korlevic dice:
"Un altro candidato (ad ospitare la vita) è il pianeta Venere. Oggi nessuno pensa che Venere sia un posto adatto per vivere, perché si sa che le nubi presenti (viste già in passato) non sono fatte d’acqua (ma d'acidi) e sotto non ci sono oceani come sono stati descritti nei libri di fantascienza (N.d.R.: nei romanzi degli anni '40-'50 del secolo scorso).
(Nota: Le riprese radar ad alta definizione della sonda Magellan hanno mappato praticamente l'intera superficie, mostrandoci il deserto allucinante della superficie del pianeta. Un deserto di pietre e lave, a circa 420°C di temperatura e con una pressione di circa 92 bar! Pensare di trovare forme di vita in un'atmosfera ricca di acido solforico, ed altro altrettanto pericoloso per noi, è veramente fare ipotesi di vita totalmente aliena, rispetto ai nostri standard. Persino le sonde esplorative corazzate, inviate anni due decenni dall'ex URSS, rimasero operative in un simile ambiente solamente per un'ora.)
Venere è da scartare (come luogo per viverci), anche se in un futuro lontano l’uomo potrebbe modificare tutto l'ecosistema del pianeta, portando delle piante che galleggiano nell’aria." "Da un quarto di secolo, cioè da quando le sonde spaziali iniziarono a dirigersi verso l’esterno del Sistema Solare, esse hanno fotografato lungo la loro strada tutti i mondi incontrati ed essi si sono presenti tutti uguali, pieni di crateri, montagne, vulcani. Tutti tranne Europa, e forse Ganimede, due delle quattro lune medicee di Giove.

[Nota: dopo i sorvoli dei Pioneer 10 e 11 si osservò già allora, con la risoluzione possibile all'epoca, che tra i satelliti di Giove c'erano notevoli differenze. Con le successive missioni Voyager (1 e 2) si puntò però più sull'esplorazione generalistica dei sistemi planetari di Giove e Saturno, con l'unica eccezione di Titano, il maggiore satellite di Saturno, dotato di un'atmosfera ricca di idrocarburi, anche se molto fredda. S'ipotizzava che essa potesse essere simile all'atmosfera della Terra all'inizio della sua formazione; pertanto s'assegnò priorità alla sua ripresa, al punto che si sacrificò il grande "tour tra i pianeti" del Voyager 1 (con mete successive Urano e Nettuno), cosa che invece fece poi il solo Voyager 2 e con che risultati! Paradossalmente, invece, la ripresa di Titano ai più sembrò un clamoroso fiasco, in quanto l'atmosfera impedì d'osservare direttamente la superficie solida del pianeta, che si suppone sia alla temperatura di -170°C con oceani di metano liquido. La messe di dati fu comunque un risultato notevole, ma all'opinione pubblica ciò sembrò poca cosa (com'era già accaduto per le analisi del terriccio di Marte compiute dalle due Viking nel 1976).
La missione Galileo, iniziata col lancio della sonda dallo Space Shuttle Atlantis il 18 ottobre 1989, e proseguita con i successivi gravity assist con Venere (flyby il 10 febbraio 1990), Terra (flyby l'8 dicembre 1990 e l'8 dicembre 1992), gli incontri esplorativi con gli asteroidi Gaspra (29 ottobre 1991) e Ida (28 agosto 1993), giunse nel sistema gioviano il 7 dicembre 1995. Nel sito si trova anche un'altra breve descrizione della missione, dov'è presente l'immagine del pianeta gigante il giorno dell'arrivo della sonda e del rilascio del modulo che penetrò la copertura nuvolosa del pianeta, inviandoci i primi dati diretti della sua composizione, densità, temperatura, umidità, ecc.
Con il completamento delle varie fasi della missione, si accuì sempre più l'importanza di Europa nel panorama del Sistema Solare e iniziò ad insinuarsi il sospetto che potesse essere completamente diverso da quanto supposto inizialmente. Questo venne confermato dai successivi ampliamenti della missione base, che studiarono sempre più a fondo e da vicino sia Europa che Io. Si analizzarono le immagini a sempre maggiore definizione e divenne chiaro che, per spiegare la superficie di Europa, si doveva ipotizzare una crosta di ghiaccio soprastante un profondo oceano liquido, profondo forse anche un centinaio di km. L'ipotesi parsa anche un po' azzardata agli inizi, sembra essere l'unica che spieghi le sua inusuali caratteristiche morfologiche.]

Il relatore prosegue l'esposizione descrivendo quanto si sa su Europa: "La trovarono liscia come una boccia, senza crepe e perfettamente rotonda. Giove, a causa della sua massa, si comporta come un piccolo Sole; attorno ad esso ruotano tantissimi satelliti e, tra le lune più grandi c'è Europa."
"Si è costatato che non era bianchissima, ma un po' sporca. Essa non è nemmeno la più grande tra le lune medicee di Giove, ma si trova alla distanza esatta, perché quella che si trova troppo vicino ha vulcani che eruttano zolfo (Io), mentre quelle più lontane sono pezzi di ghiaccio ricoperti di crateri (Ganimede e Callisto).
Finalmente, nel 1995, la sonda Galileo, dopo alcuni gravity assist, è riuscita ad arrivare nei pressi di Giove con l’intento di fotografare il pianeta e le sue lune, ma quando è transitata nei pressi di Europa tutto il programma è stato cambiato, verificando una scoperta tanto importante: la superficie di Europa è di ghiaccio, con strisce marrone, e ci sono sulla superficie molte strutture: linee, cupole, fratture ed iceberg. Si vedono pezzi di ghiaccio rotti che galleggiarono sull’acqua e si sono successivamente risolidificati con la crosta."
"Questo ghiaccio ha solo alcuni chilometri di spessore, al centro c'è un nucleo solido, e quello che c'è sotto la crosta e sopra il nucleo è liquido, diciamo per circa 100 km di profondità. L’oceano sotto questo ghiaccio è, come detto, di 100 km. non 11 come nel punto più profondo dei nostri oceani (N.d.R.: la Fossa delle Marianne nell'Oceano Pacifico, profonda 11.034 m)."
"Ma 100 km d'acqua salata, come testimoniano le strisce marrone (sulla superficie), significano che abbiamo un oceano che ha più acqua di tutti gli oceani terrestri, che sul fondo ha tantissimi vulcani attivi e quasi sicuramente sorgenti idrotermali. Quando i planetologi hanno mostrati i dati di questo satellite ai biologi, essi hanno confermato che sulla terra esistono come minimo una decina d'animali potrebbero sopravvivere e prosperare in queste condizioni. Ma è probabile che ci siano addirittura dei batteri autoctoni!"
"Se esplorandolo non troveremo la vita su Europa, significa che siamo molto soli nell’universo, che siamo quasi unici e che siamo qualcosa di veramente speciale. Se invece si trova la vita al di sotto queste piastre ghiacciate galleggianti (su Europa), significa che siamo solo una minuscola parte degli esseri viventi dell’universo e che, se ci sono altre specie viventi, ci potranno essere anche esseri viventi intelligenti; non saremo più un qualcosa di molto raro, ma saremo un qualcosa di normale."

Ora ci presenta la missione esploratrice più ambiziosa ed importante mai concepita:
"Si sta preparando è una sonda automatica, sulla quale sarà installato un mini sommergibile capace di perforare il ghiaccio, per vedere se c'è qualcosa sotto la crosta ghiacciata. Quanto si scoprirà è un qualcosa che io aspetto con enorme curiosità, non penso che ci sia nessuno che potrà disinteressarsene, perché finalmente abbiamo la possibilità di trovare la vita. Il problema è che per costruire questo piccolo sommergibile, le cui dimensioni sono quelle di una bombola di gas (circa 150 cm d'altezza per 70 di larghezza), si fare anche presto, diciamo che in cinque anni sarà tutto il sistema sarà pronto, ma si dovranno fare parecchi test sul nostro pianeta, in Antartide, i quali porteranno via altro tempo. Serviranno poi otto anni per il viaggio verso Europa ed allora serviranno almeno 13-15 anni, solo per avere i primi risultati scientifici."
"Ci si chiederà se tante prove, tanti test, siano proprio necessari: lo sono, perché non è possibile inviare apparati tecnologici tanto sofisticati senza fare dei test preliminari sulla Terra e, per fortuna, abbiamo un qualcosa che assomiglia a quanto si troverà su Europa."
"In Antartide, sotto 4 km di ghiaccio, c'è il più grande lago terrestre: si chiama Lago Vostok e sono già trascorsi almeno una ventina milioni d'anni da quando esso è stato sigillato all'ambiente esterno. Non è stato contaminato da vita al di fuori del lago stesso durante tutto questo tempo ed i russi che l'hanno trovato, quando sono andati a trivellare per vedere dov'era l'acqua lì sotto, si sono fermati 10 metri prima di bucare la volta del lago."

La notizia è poco conosciuta, al di fuori dell'ambiente professionistico; anche noi n'avevamo solo sentito parlare. Korlevic spiega cos'hanno effettivamente trovato i russi: probabilmente un nuovo mondo, rimasto completamente isolato dal nostro per due decine di milioni d'anni! E Korado aggiunge:
"I russi hanno fermato la trivellazione perché hanno trovato, sopra quegli ultimi 10 metri di ghiaccio antico, più d'una ventina di batteri che non sono conosciuti nella letteratura scientifica; allora, per non inquinare quel lago, che è stato preservato nel tempo da una glaciazione, lo hanno ricoperto nuovamente ed hanno deciso di non forarlo sino a che non sarà preparata la sonda della quale parlavo poc'anzi. Per studiare il lago Vostok la sonda dovrà essere sterilizzata, per non rischiare di uccidere la vita autoctona; la situazione così peculiare di quel lago è importantissima, per ora unica sul nostro pianeta."
"Analoghe precauzioni si dovranno prendere per non portare vita terrestre su Europa: chissà cosa accadrebbe se portassimo nostri batteri o virus là; potremmo uccidere tutti quelli locali o si potrebbero avere mutazioni non previste dei nostri."
"Gli scienziati stanno sviluppando al meglio queste problematiche, per non rischiare che ciò possa accadere. Per realizzare la prova sulla Terra, mandando il mini sommergibile nel lago Vostok, si pensa che serviranno un paio d'anni ed allora, quelli che leggono le riviste scientifiche, sicuramente troveranno tantissimi articoli su questo iceboat. Se il tutto procederà per il meglio, i sistemi saranno impiegati nella missione (molto più importante) che studierà l'oceano del satellite di Giove."

Affascinante mix tecnologico - astronomico - biologico - etico, la missione sarà una delle più interessanti preparate dal genere umano, così importante da poter dare una prima risposta ad uno degli interrogativi più pressanti (o forse quello più importante) che l'Umanità si sia mai posta, da quando l'Homo Sapiens ha iniziato a cercare le tracce della propria origine.

Il relatore prosegue:
"Le lune di Giove hanno avuto i nomi quando nessuno sospettava che ci sarebbe stato il problema di confonderle. Il sistema gioviano non è composto solo da Io, Europa, Ganimede, Callisto, ma pure da un'altra quindicina di lune. (NdR: ad oggi ne sono state scoperte in totale una sessantina) Io prima ho detto che sono congelate, però Ganimede non è tanto distante (da Giove) da non supporre che anch'essa non possa avere un oceano sotto la crosta di ghiaccio. Però su Europa essa probabilmente sarà di alcuni chilometri (forse due o tre), mentre su Ganimede potrebbe raggiungere i 90 km (di ghiaccio), con una decina di km di spessore per l'oceano sottostante, in quanto il satellite è più lontano (da Giove) e quindi più freddo."
"Ma anch'esso dovrebbe avere delle sorgenti idrotermali attorno al nucleo; perforarlo è tutto un altro problema e tutta un'altra storia è quella che potremmo scrivere confrontando la situazione della Terra, di Europa e di Ganimede."
"Scopriamo che non solo sulla Terra, ma in tantissimi altri luoghi, la vita potrebbe nascere e esistere: prima ho parlato delle comete. Ricordiamoci che nel 1994 Giove è stato colpito da una cometa (N.d.R.: la Shoemaker-Levy 9) e la cometa, prima di colpire il pianeta gigante, si è spaccata in più pezzi (N.d.R.: oltre una ventina); è interessante far notare che, in uno tra i 22 punti dov'è stato colpito il pianeta, si videro strutture scure marrone."

Ricordiamo anche noi il filamento dei 22 frammenti che si formarono dalla frammentazione della SL-9 (Shoemaker-Levy 9): l'osservammo e fotografammo da Talmassons mentre uno dei siti marrone, sede d'un impatto, si rendeva visibile appena uscito dal lato in ombra del pianeta.
"Le zone marrone sono in gran parte formate da composti organici del carbonio (N.d.R.: cioè da catene di molecole con scheletro formato da atomi di carbonio), perché le comete non sono fatte solo d'acqua ma sono ricche di tantissime sostanze organiche. Potessimo stare su una cometa, da come ce la descrivono i planetologi, sarebbe come stare su un iceberg ricoperto di una spessa patina di catrame: la superficie catramosa è ricca di idrocarburi."
"Talvolta si possono trovare piccoli pezzi di comete, quando si fanno voli con aerei ad alta quota specializzati nella cattura di particelle di polveri (come fa la N.A.S.A.); ogni tanto si catturano delle "micrometeoriti" che, al contrario delle particelle meteoriche, non sono rotonde ma sono un miscuglio di piccoli cristalli, tutti uniti assieme da un materiale simile al carbonio, che noi supponiamo giungano dalle comete."

Nella storia dell'umanità, i corpi cometari sono stati associati spesso, specialmente nel medioevo e nel rinascimento, all'arrivo di terribili disgrazie, come pesti, malattie letali, guerre. Per farsi una simile fama esse sarebbero dovute apparire in concomitanza con fenomeni luttuosi, ma dubito si possa mettere in correlazione i corpi celesti con i fatti loro associati. Resta però il dubbio che esse possano in ogni caso aver depositato materiale pre-biotico sul nostro pianeta; Korlevic tratteggia a questo punto alcune delle teorie correnti:
"La storia, che le comete portarono la peste, si ricollega a quello che ha detto il celebre astronomo inglese Frank Hoyle il quale, in collaborazione con l'astrofisico indiano Chandra Wickramasinge, ha proposto l'ipotesi che le comete possano aver portato la vita sulla Terra e che quindi essa non sia autoctona. Secondo quest'ipotesi, detta della panspermia, si ipotizza che le comete siano dei veicoli d'inseminazione che si spostano per la Galassia, cedendo il loro contenuto alle atmosfere planetarie in caso d'impatti con l'opportuna geometria e velocità. La vita, di conseguenza, esisterebbe nell'intero universo."
"Se ci recassimo su Marte e ivi trovassimo dei batteri che hanno le stesse strutture e lo stesso DNA dei nostri, se poi andassimo su Europa e pure lì trovassimo che nel suo oceano (sotto il ghiaccio) ci sono altri batteri che hanno la stessa struttura e DNA, allora sapremmo che Frank Hoyle aveva ragione."
"Com'è però possibile che le comete siano il veicolo col quale la vita si diffonde? Le comete furono degli enormi oceani d'acqua liquida (all'interno della crosta, ghiacciata per il contatto con gli spazi siderali) per miliardi di anni, finché non si consumò l'energia fornita dal decadimento nucleare degli isotopi radioattivi. Quando la cometa Hale-Bopp stava giungendo nel Sistema Solare interno, si poteva apprendere dai giornali, riviste, radio e televisioni, che finalmente avremmo potuto capire com'è nato il Sistema Solare; invece non si è capito un bel niente e le comete, invece di darci delle risposte, ci hanno lasciato tantissimi nuovi interrogativi, perché sono state trovate una moltitudine di sostanze che si pensava le comete non potessero avere. Ciò ha mostrato che noi, delle comete, sappiamo poco o niente."

Anche al Congresso di Torino solo due ricercatori si sono azzardati a parlare di comete, e hanno detto chiaramente:
"Beh qua parliamo di asteroidi, ma bisogna che qualcuno si metta a lavorare seriamente anche sul problema delle comete". Questi pezzi di ghiaccio vaganti, quando arrivando vicino al Sole, cominciano a sublimare, producendo le lunghe code. Dai nuovi studi sulla Hale-Bopp, sappiamo che essa non aveva una ma ben quattro distinte code, una blu di acqua ionizzata, una marrone formata dalle particelle di polvere e due gialle di sodio in direzione esattamente antisolare. I corpuscoli catturati nei voli ad alta quota sono le particelle che formano la coda di polveri."
"In prossimità del Sole le particelle scure della superficie, che assorbono la luce solare, rendono lo strato sottostante molto caldo e permettono la sublimazione del ghiaccio del nucleo cometario; la sublimazione avviene spesso in maniera esplosiva (N.d.R.: come nei geyser), espellendo ingenti quantitativi d'acqua, gas ionizzato (idrogeno) e piccole particelle di polvere. Disperdendosi lungo l'orbita i composti "inquinanti" il ghiaccio d'acqua, dei quali si parlava precedentemente, sono intercettati dai pianeti che intersecano le orbite dei loro corpi progenitori. Tutto questo è molto interessante, in quanto potrebbe spiegare alcune lacune nella conoscenza della formazione dei componenti pre-biotici della vita."
"Quindi non solo Marte o Europa, ma anche le comete dovranno essere visitate in futuro con missioni automatiche. Attualmente sono previste almeno sei sonde che lo faranno ed allora, nei prossimi vent'anni, noi avremo tantissimi nuovi dati, specialmente da quando (nel gennaio 2004) la sonda europea Rosetta sarà lanciata dal razzo Ariane. La sonda, dopo alcuni gravity assist con Marte e la Terra, e dopo un viaggio che durerà quasi un decennio, nel 2012-2013 studierà la cometa P/Churyumov-Gerasimenko." (NdR: Korvecic in realtà nel 1999 non poteva sapere che la missione, a causa di un guasto del lanciatore Ariane 5, sarebbe stata posticipata di un anno e l'obbiettivo della missione sarebbe divuto cambiare: dalla Wirtanen alla La 67P è una cometa periodica con un periodo di circa 5 anni e mezzo; l'immagine della cometa che presentiamo nel link è stata ripresa nel 1997 dal satellite I.S.O. - Infrared Space Observatory, lanciato dall'Europea Space Agency. Mostra la "testa" polverosa dell'astro, chiamata tecnicamente chioma, e una corta coda e debole che s'allunga dietro di essa (rispetto alla congiungente Sole - cometa).

Korlevic fa poi una previsione:
"I prossimi dieci anni saranno molto interessanti per quanto riguarda le comete ed il pianeta Marte; i prossimi quindici anni saranno interessanti per capire molto di più sul satellite di Giove che si chiama Europa, e su quell'oceano enorme, salato e sporco che c'è sotto il suo ghiaccio."

Terminata l'esposizione dei principali argomenti affrontati del workshop IMPACT '99, Korlevic invita tutti i presenti a porgergli domande per chiarire particolari non capiti o per approfondire tematiche poco sviluppate nel limitato tempo della conferenza.

Alcune delle domande del pubblico riguardano la fisica degli oggetti descritti; in particolare si chiede: "Europa che massa ha?"
"E' un po' più piccola della nostra Luna, non ha atmosfera e la sua superficie è ghiacciata. La sua temperatura superficiale è molto inferiore ai 100 gradi sotto zero, quando il ghiaccio diventa durissimo, al punto che taglia il vetro. Una volta, sino a 3,5 miliardi d'anni fa, c'era un'atmosfera, perché Giove era talmente caldo che la superficie su Europa era un oceano. Ora che il pianeta si è molto raffreddato, anche se continua ad emettere tre volte più energia di quanta ne riceve dal Sole, il ghiaccio superficiale di Europa non evapora come accade per le comete, perché la distanza di circa 600 milioni di km dal Sole è troppo elevata."
"Per l'isolamento termico del satellite è molto meglio avere 3 km di ghiaccio che 20 d'aria, è molto meglio protetto. E' un posto ideale come hanno detto i biologi, che hanno fatto al riguardo un importante congresso a Los Angeles un po' tempo fa (quando sono stati scoperti nei nostri oceani le sorgenti idrotermali in profondità) e i biologi che si occupano dei batteri, che sulla Terra vivono nelle sorgenti geotermali, hanno detto "l'oceano d'Europa sarebbe un eldorado se portassimo i nostri batteri là: quell'oceano in un paio di anni sarebbe già popolato".
"Ora aspettiamo e, se fra 12 anni non li troviamo (i batteri), allora sarà un grande problema (non solo di biologia) ma filosofico, perchè saremo soli e ciò significa che la vita è molto rara."

Un altro partecipante alla conferenza chiede quali probabilità ci siano che la vita possa esistere al di fuori della Terra. Korlevic risponde:
"Il numero di mondi è grandissimo e, se andiamo già nelle le stelle vicine, alcune di esse hanno probabilmente un sistema planetario; ne sono stati scoperti tantissimi negli ultimi anni e quasi non passa mese senza che vengano scoperti di nuovi. E' stato compilato un primo catalogo con una trentina di stelle, attorno alle quali si suppone esista un sistema planetario; l'ultima scoperta si chiama Y Andromeda e sembrerebbe avere tre pianeti che riusciamo a vedere per ora ancora in maniera indiretta. In questa trentina di sistemi stellari, se uno dei loro pianeti si trova alla distanza giusta dalla stella, potrebbe avere l'acqua (allo stato liquido)."
"Se noi troviamo che su Europa in quell'oceano ci sono batteri, allora sappiamo che in "tutte" le stelle che hanno pianeti intorno ad esse, probabilmente sui pianeti orbitanti alla distanza giusta potrebbe esserci la vita; dovrebbe avvenire una catastrofe se in qualche punto non si evolverà vita intelligente."

Ad una domanda specificaKorlevic accenna pure ad una possibile chimica biotica extra carbonio, con basi diverse dalla chimica organica del carbonio:
"In questo universo le leggi chimiche sono uguali e si può supporre che esistano altre basi per formare le molecole; una possibilità si ha con lo zolfo liquido, ma il numero di molecole prodotte non è comparabile con quelle dell'acqua. Diciamo che la biblioteca che l'acqua riesce a formare è la più grande che si possa fare. Potrebbe farlo anche l'ammoniaca con il silicio a temperature bassissime, ma anche in questo caso il numero di molecole che possono prodursi è basso. Di sicuro l'acqua non è l'unico posto in cui si può supporre nasca vita, ma è sicuramente il più probabile."

Per concludere la serata parla pure del nostro satellite naturale:
"Sulla Luna c'è ghiaccio dove non arriva mai la luce solare, nelle zone in ombra dei crateri (ad alta latitudine) e ai poli, in quanto dove non arriva la luce e la temperatura più elevata non raggiunge i 100 gradi sottozero. Quindi, quando una cometa va ad impattare sulla Luna, si alza una nube e, se il vapore acqueo, entra nell'ombra del cratere allora si deposita."

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Figura 10 - La più pesante craterizzazione degli altipiani della Luna si registrò nel periodo dei primi 500 milioni d'anni della sua storia.

(Gentile concessione di Paolo Beltrame - CAST; mosaico d'immagini riprese mediante webcam il 09/02/2003)

Cliccando l'immagine l'aprirete a 1401 x 1932 pixel.

Per visitare la gallery d'immagini della Luna cliccate qui.

Questo è accaduto specialmente nei crateri presso il Polo Sud Lunare." Con ciò il relatore intendeva esporre le motivazioni, per le quali si è proposto di costruire la prima base umana lunare nei pressi del Polo Sud. In presenza di grossi quantitativi di ghiaccio d'acqua, si disporrebbe di una sorgente locale d'energia, che come sottoprodotto genererebbe acqua (liquida), necessaria per la vita degli astronauti, per il raffreddamento delle macchine e per impastare le "malte" speciali che dovrebbero cementare i blocchi delle costruzioni permanenti dove in futuro dovrebbero abitare gli uomini che colonizzeranno il nostro satellite naturale.

Crediti:

Immagine pittorica in apertura di pagina: cortesia NASA; mostra un asteroide di 500 km di diametro che impatta con la Terra e l'onda di maremoto iniziale.
Le figure 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, come la tabella della Scala Torino, sono state tratte dal sito "Asteroids and comets impact hazards", della NASA Ames Space Science Division.
I singoli autori delle immagini, grafici o disegni vengono citati nelle rispettive didascalie.
Si ringrazia tutti per la gentile concessione.

Le immagini delle varie sonde interplanetarie e del Sistema Solare sono di proprietà:
della NASA nei casi del Pioneer 10 e 11, Viking 1 e 2, Galileo, Mars Pathfinder e Sojourner, Mars Global Surverior; il disegno del minisommergibile è del JPL; Giove, Io, Europa, Ganimede e Callisto sono state riprese dalle Voyager e dalla Galileo; le due di Venere sono state ripreso dalla Magellan; quella dell'Olympus Mons è stata ripresa dall'orbiter del Viking e dalle missioni successive le altre;
dell'ESA nei casi della Rosetta, dell'immagine Halley ripresa dalla Giotto, della Wirtanen ripresa dall'ISO.

L'immagine dell'impatto della Shoemaker-Levy 9, di Marte (nell'apposita pagina) e di Giove nel punto d'entrata della Galileo Probe sono dell'Hubble Space Telescope Science Institute.

Il resto delle immagini dovrebbero essere tutte state riprese dai soci del C.AS.T. - Circolo Astrofili Talmassons.
Dell'immagine del Sole non conosco la fonte.

Per maggiori dettagli si rimanda al sito della Space Guard Foundation e quello del Circolo Astrofili Visnjan (Croazia).


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Copyright © 1999-2005 testo di Lucio Furlanetto (trascrizione audio di Edoardo Piani)

Autori immagini, grafici, disegni copyright vengono citati nelle didascalie.
Pagina caricata in rete: 5 maggio 2000; ultimo aggiornamento (10°): 3 aprile 2005